Titolare della Chiesa e Patrono: S. Giuseppe (19 marzo)
Popolazione 7140 – Famiglie 2588
Vicaria autonoma 27/11/1953 – Parrocchia 1/10/1954
Primo Parroco e fondatore della chiesa e comunità: Don Ezio Mancini: a Marotta dal 2/4/1949 al 15/3/1982 giorno della morte.
Succesore: Mons. Egidio Bugugnoli dal 1982 al 2020
Parroco attuale: Don Giuliano Zingaretti
Storia
Il Vescovo di Senigallia, Mons. Umberto Ravetta in data 2 aprile 1949 nomina il giovanissimo prete Don Ezio Mancini, ordinato sacerdote il 19 marzo 1949, Vice Parroco della Parrocchia S. Giustina di Mondolfo con incarico di seguire la realtà di Marotta. La S. Messa viene celebrata in un garage messo a disposizione dalla famiglia Polverari.
Il 27.11.1953 il Vescovo erige la Vicaria Autonoma di Marotta e nomina don Ezio Mancini “Curato”.
È del 1.10.1954 la bolla del Vescovo di Senigallia, Mons. Umberto Ravetta, che erige la Parrocchia di S. Giuseppe. Della stessa data è la bolla di nomina del primo parroco Don Ezio Mancini.
Questo sacerdote è il parroco più giovane della parrocchia più giovane della Diocesi.
Descrizione artistico-religiosa
La chiesa è stata costruita su disegno dell’Architetto Marcello Diamantini.
La posa della prima pietra della nuova Chiesa è avvenuta il 22 Maggio del 1955.
I lavori, eseguiti dalla Ditta Frattini di Marotta, terminati in poco tempo, hanno dato alla comunità un edificio moderno e funzionale, inaugurato nel 1956.
La chiesa, per la quale il governo con la legge Aldisio, stanziò 22 milioni, è a croce latina, e architettonicamente mostra un carattere di severa dignità, per cui sono preferite linee semplici, moderne, che esprimono un concetto di bellezza essenziale e costruttiva. Sorge su un terreno un po’ sopraelevato, presso la strada nazionale.
E’ lunga 31 metri e larga 11 nella navata centrale e 17 nella croce trasversale.
Il campanile è alto 26 metri. Seguono la canonica, gli edifici ad uso del ministero pastorale e ricreativo, l’ufficio parrocchiale e la sala della comunità. La chiesa eretta prima del concilio Vaticano II è stata successivamente adeguata ai nuovi criteri liturgici. L’altare è stato staccato dalla parete dell’abside e collocato al centro del presbiterio utilizzando gli stessi marmi (5.11.1966).
All’interno, nell’abside, un imponente Crocefisso in legno scolpito di Filippo Moroder Dos di Ortisei rappresenta Cristo vivo e risorto, con gli occhi aperti e le mani libere (15 .8.1996).
Di notevole interesse sono le vetrate realizzate da Natale Patrizi (Agrà) negli anni Novanta del ’900.
Dello stesso autore è anche l’ampia vetrata posta all’ingresso della Chiesa, divisa in sette sequenze che narrano alcuni episodi della vita di Gesù estrapolati dai Vangeli Apocrifi.
Dello stesso autore sono i grandi “Libri di legno” con scene del Vangelo. La Pentecoste con la tecnica del graffito e la Citta terrena e la città celeste, tempera di grandi dimensioni (foto e descrizioni in altro titolo).
Non sfuggono ad un attento osservatore le stazioni della Via Crucis, di Pietro del Bianco, altorilievi in bronzo applicati su tavole di legno a forma di croce, incentrati sul volto di Gesù come motivo dominante e come canale di ispirazione per il fedele in preghiera.
L’esterno
L’interno
Il crocifisso
Approfondimento sul crocifisso
CRISTO IN CROCE e RISORTO
Siamo da tempo abituati a contemplare Gesù in Croce come “l’uomo dei dolori”, colui che si è caricato delle nostre sofferenze e si è addossato le nostre colpe, trafitto per i nostri delitti e schiacciato per le nostre iniquità. Uno di fronte al quale ci si copre la faccia, tanto è sfigurato il suo aspetto umano. Così il profeta Isaia aveva descritto il Messia, Servo sofferente, già alcuni secoli prima della sua “apparizione”nella storia (cf. cap. 53). Così ci si rivela Gesù nella sua passione e morte. Così, a partire dal medioevo, quando più forte si è fatta l’attenzione all’umanità di Gesù, si è cominciato a raffigurare il Crocifisso.
Nei primi secoli però non fu così. La croce, patibolo infame ma segno e strumento di redenzione da quando vi è salito il Figlio di Dio fatto uomo “per noi uomini e per la nostra salvezza”, la si presentava costellata di gemme preziose. Quando poi, a partire dal sec. X-XI, si è cominciato a raffigurare su di essi il Cristo, lo si è presentato come il “Vivente”, rivestito degli abiti regali e sacerdotali: la croce, poi, è stata vista come un trono di gloria, “altare” del sacrificio, vessillo di vittoria..
Tutto ciò per una profonda ragione: la sofferenza e la morte non sono l’ultima parola della rivelazione di Dio e del “Vangelo della carità” annunciato e portato a compimento da Cristo Gesù. Dio, infatti ha risuscitato il suo Figlio e lo ha costituito “Signore” degli uomini e della storia, sorgente di speranza e di vita per tutti coloro che credono in Lui. Morte e risurrezione sono due aspetti di un unico “evento” di cui gli uomini sono chiamati a diventare partecipi e protagonisti per essere salvati. (Mons. Luca Brandolini, Vescovo)
Alla luce di queste considerazioni possiamo “leggere” e comprendere il significato del Crocifisso – dello Studio Moroder/Doss di Ortisei – che è collocato nella parte absidale della chiesa S. Giuseppe di Marotta.
Cristo ci appare sì nella croce, ma come il “Vivente”, Colui che con la sua morte ha distrutto la morte e risorgendo ci ha donato la vita. I suoi occhi sono aperti sul mondo; il suo sguardo è vivo, soffuso di tenerezza e di bontà; il suo volto ci svela quello amoroso del Padre… Tutto invita alla “contemplazione e alla meraviglia, da cui sono destinate a scaturire l’azione di grazie e professione di fede; “Davvero Costui è il figlio di Dio”, il nostro Salvatore, Via, Verità e Vita.
La sua carne porta i segni della passione, ma le sue piaghe sono gloriose, testimonianza eloquente che Egli è Vivo e sempre intercede per noi! Emerge quella del costato, da cui sono scaturiti sangue ed acqua, simboli dei sacramenti “pasquali” del Battesimo e dell’Eucarestia che ci fanno Chiesa, cioè Corpo mistico di Cristo.
Il panno che cinge i fianchi del Crocifisso richiama l'”ephod”, l’abito del sacerdote dell’Antico Testamento. Gesù, infatti, è il sacerdote della nuova ed eterna alleanza che con il sacrificio della sua obbedienza, giunta fino alla morte di croceci consente di fare il “passaggio” (la pasqua!) dalla morte alla vita e raccoglie nell’untià i figli di Dio dispersi. Tutto ciò è espresso anche dalle braccia tese ed aperte, come per un abbraccio che vuole coinvolgere tutti gli uomini di tutti i tempi.
Anche il legno della croce racchiude significati profondi. Nell’abside domina la luce simbolo della gloria e della pienezza della vita, promessa e donata a quanti obbediscono, nella fede, a Cristo Signore. Nello sfondo c’è la croce, cioè l’albero: la croce è l’albero della vita perchè su diessa è maturato il frutto della salvezza che consente di gustare la dolcezza dell’amore di Dio e fare esperienza della comunione con il Padre e con i fratelli.
Attorno e verso il Cristo un volo di colombe: è l’umanità, le anime, il popolo santo di Dio, i nostri defunti; tutti verso il Cristo, verso il Risorto in uno slancio di liberazione e di amore; accolti dalle braccia aperte di Cristo, ma anche del padre in un gesto di amore e di bontà.
“Volgeranno lo sguardo a Colui che hanno trafitto”: siamo invitati a contemplare questa straordinaria immagine. Per ravvivare la fede e dare risposta al messaggio che ci trasmette: una risposta piena di gratitudine e di amore. Una risposta di conversione e di vita nuova.